Presentazione
Sul bombardamento dell’Alfa Romeo avvenuto il 20 ottobre 1944 è stato scritto molto, sia da persone che lo hanno vissuto, sia da altri, p.e. giornalisti. Ho però notato che le descrizioni fatte sulla base dei racconti dei testimoni oculari sono tutte determinate, come è ovvio che sia, dal punto di osservazione nel quale si trovavano, in quel momento, i testimoni stessi in quell’area così vasta. Ovvie le differenze di vedute. Gli altri hanno semplicemente riportato tristi cronache riferite dagli scampati nel corso di interviste, o che hanno attinto dalle documentazioni rese disponibili più tardi dagli archivi militari, specie USA, ricche di dati e fotografie, ma fredde, mute e prive di legami tra loro. Ho perciò deciso di raccontare anche la mia esperienza che, nel tempo, ha avuto un seguito non prevedibile ma , come vedrete, curioso, se non addirittura interessante.
Il mio primo compito in azienda
In quel periodo svolgevo un’attività inconsueta presso la Scuola Apprendisti dell’Alfa Romeo determinata dalle esigenze del momento e per la quale una apposita area era stata adeguatamente predisposta. Avendo ormai fatto una certa esperienza mi era stato assegnato il compito di contribuire all’insegnamento di un mestiere ai reduci dai fronti di guerra (la quasi totalità dalla campagna di Russia), mestiere solo da sedentari essendo essi tutti gravemente menomati fisicamente. All’epoca la produzione di pezzi di alta precisione richiedeva molti controlli lungo le linee di lavorazione, oltre che a fine linea e nei laboratori di metrologia; pertanto il personale di controllo richiesto era numeroso e doveva essere preparato adeguatamente. Per questa ragione quasi tutti i reduci venivano addestrati per svolgere questo tipo di attività, liberando personale non fisicamente minorato da dedicare ad altri lavori.
Assuefazione al pericolo
Eravamo abituati agli allarmi che ci avvisavano del probabile attacco aereo, ma il lontano ricordo di quello del 1943 era ormai quasi svanito e nessuno si preoccupava più di tanto. Pertanto quel fatidico 20 ottobre 1944 al primo segnale di allarme io e un reduce, di nome Crippa, che si era affezionato a me, decidemmo, vista l’ora, di andare alla vicina mensa aziendale per il pranzo. Mancava poco a mezzogiorno e, mentre camminavamo, vedemmo colonne di fumo alzarsi, come seppi dopo, in conseguenza del funesto bombardamento della città di Gorla. Capimmo che quello poteva essere un segnale premonitore ma, pur stando all’erta, non andammo nella torretta – rifugio. Forse non abbiamo nemmeno dato peso al successivo segnale di conferma dell’allarme che, normalmente, veniva dato per sollecitare il ricorso al rifugio.
Veramente in allarme
Entrammo alla mensa ma poco dopo sentimmo un concitato vociare all’esterno; uscimmo e vedemmo chiaramente, nel cielo di uno splendido azzurro, una formazione di B24 Liberator, proveniente da Nord e ancora lontana ma sicuramente diretta verso di noi. Ci accingemmo allora ad uscire dal perimetro dello stabilimento, ma Crippa, che era monco della gamba destra, doveva usare una stampella e non poteva muoversi sollecitamente. Io tentavo di aiutarlo, ma era del tutto inutile, era quasi immobile. Mi urlò ripetutamente:
vattene tu che sei giovane vattene tu che sei giovane. Io, a causa dell’amicizia e del desiderio di aiutarlo, esitavo ma non mi rendevo conto del tempo che passava, e lui insisteva; ebbi la netta impressione che, dopo la triste esperienza fatta in Russia e per la consapevolezza della sua precaria condizione, fosse diventato fatalista e non gli importasse più di morire, ancora oggi questa convinzione non si attenua tanto forte è stato in me il senso della sua rassegnazione e l’impatto della terribile vicenda che stavo vivendo. Ad un certo punto mi spinse con colpi di stampella nella schiena per convincermi ed io tentai di allontanarmi, ma ormai era troppo tardi; percorsi forse qualche decina di metri e raggiunsi l’uscita di emergenza nord, normalmente chiusa (non era una portineria) ma che veniva aperta in queste circostanze. Dava sull’orto di guerra che si trovava ad un livello più basso di oltre un metro.
Il bombardamento
Malgrado la paura osservai la formazione degli aerei che ormai era quasi sopra di noi e vidi, a mio ricordo, sei gruppi di sei bombardieri ciascuno, un po’ distanziati tra loro. Mentre correvo per allontanarmi vidi un segnale luminoso emesso dall’aereo di testa ed il primo gruppo sganciò le bombe che, durante la caduta, luccicavano e generavano un rumore impressionante: immaginate una alta pila di lamiere ondulate sulla quale qualcuno sobbalza come sul tappeto elastico; il mio cervello ne fu sconvolto. Le prime bombe caddero proprio a nord dello stabilimento, dalla parte dell’orto, cioè dove mi trovavo io, e fui scaraventato giù tra la verdura. Lo sgancio delle bombe si ripeté altre cinque volte con un certo intervallo di tempo. Un’eternità, col cuore in gola in un fragore che ossessionava e che mozzava il fiato! Subito il cielo si oscurò, sembrava una classica giornata milanese di fittissima nebbia, ma di colore grigio-giallo-rossastro a causa dei muri sgretolati; era tanto buio che non mi riuscì di ritrovare Crippa (lo rividi qualche giorno più tardi quando si ripresentò).
Prima ricognizione
Un’ora più tardi, diradata la “nebbia”, si vedevano ancora pagine di documenti formato A4 oscillare “dolcemente” nell’aria come bianche farfalle. Non era poesia, ma le guardai pensando al tremendo significato del loro dolce movimento….conseguenza di uno sconvolgimento prima inimmaginabile. Rientrai e vidi l’impressionante distruzione ogni dove. Sul tetto della mensa, alto forse una ventina di metri, vedevo le biciclette che prima erano nel vicino deposito, scaraventate fin lassù dalle esplosioni. Molte persone vagavano, senza un apparente motivo, in ogni direzione, come inebetite. Non sembravano nemmeno intenzionate ad allontanarsi da quell’inferno. Qualcuno raccontava (a chi?) quel che aveva visto, o credeva di avere visto, e riferiva di morti e feriti, ma confusamente a causa del trauma subito.
Seconda ondata di bombardieri
Quando, dopo tanti indugi, decisi di andarmene, ritornai alla Scuola Apprendisti, che era li a due passi. Scesi nello spogliatoio, recuperai i miei effetti personali, uscii dallo stesso portone di prima e attraversai l’orto di guerra che arrivava fino a via Papa; oltre si trovava il prato del Tiro a Segno, che non era recintato. Giunto sulla strada vidi all’orizzonte una seconda formazione di bombardieri, credo identica alla precedente perché ero più preoccupato di allontanarmi che di contarli. Data l’alta quota di volo (9000 m) ebbi l’impressione che avesse lo stesso obiettivo e cercai di affrettarmi con l’intenzione di ripararmi in una delle buche dalle quali venivano lanciati i piattelli. Al rumore provocato dal primo sgancio delle bombe questa volta mi buttai a terra, come mi era stato insegnato dai reduci; tentai più volte di avvicinarmi alla buca più vicina (non ricordo se la vedevo, sapevo solo che c’erano), ma invano: ero come paralizzato e guadagnai solo poche decine di metri.
Altro bersaglio
Sullo stesso prato c’erano qua e là anche dei blocchi di cemento cubici da mezzo metro di lato; su uno di questi, tranquillamente seduto, stava un signore che mi sbalordì: era elegantissimo in un abito nero tipo frac, con bombetta, papillon e guanti in mano. Roba da Prima alla Scala ma non era un sogno, ve lo garantisco! Ormai gli ero abbastanza vicino e lui cercò di rassicurarmi (non credo ci sia riuscito) dicendo: non si preoccupi, non le accadrà nulla. Stia qui vicino a me. Vedrà che non succederà nulla. Frastornato dal precedente shock non gli credevo, ma intanto non riuscivo in nessun modo a procedere, neanche di un passo. In effetti quell’incursione colpì l’Isotta Fraschini che, in linea d’aria, si trovava a poche centinaia di metri dall’Alfa Romeo. Ecco perché fui tratto in inganno sul vero obiettivo, mentre l’anonimo personaggio se ne stava sempre tranquillo. Di certo lui sapeva tutto, ma come potevo immaginarlo? Questo fatto è sempre stato un dilemma per me ma, forse, più di sessant’anni dopo, ho capito come potevano essere andate le cose.
Il ritorno a casa
Mi incamminai per tornare a casa a Legnano. Come? A piedi nelle previsioni, 26 km, ma con una complicazione: il famoso “Pippo”, l’aereo che da tempo teneva tutti sulle spine anche di notte, nel frattempo si era fatto vivo. Volava ad alta quota e non riuscivo a vederlo, ma la paura di essere individuato mi prese (infondata direste voi ora a mente serena, ma provare per credere), e decisi di camminare nascosto da siepi o boschi rasentando le marcite. All’imbrunire, sentendomi più tranquillo, mi portai sulla S.S del Sempione e chiesi un passaggio ad un camionista che mi abbreviò notevolmente il cammino. Arrivai a casa a notte fatta; la voce era corsa e gli abitanti della mia via erano affacciati alle finestre. Senza parlare, mi salutavano con un cenno della mano….quasi timidamente. Mi sembrava di essere considerato un miracolato.
I caduti
Inizialmente i morti contati furono più di 60 (forse 64) e le cronache si sono fermate a questa cifra. Dopo qualche tempo però, con la ricostruzione, si procedette a liberare una buca, delle dimensioni di un ampio locale e posta al termine sud del tunnel che dava accesso ad una delle torrette-rifugio, che era stata completamente riempita dalle macerie crollate nel corso del bombardamento. Lì avevano trovato riparo alcuni operai che, purtroppo, non avevano raggiunto la vicinissima torretta-rifugio e vi sono rimasti sepolti fino al ritrovamento.
Non facevano parte della prima conta ……. totale più di 80.
Appendice
- Facciamo un bel salto nel tempo. Nel 1967, dopo un periodo di preparazione per l’adeguamento delle vetture Alfa Romeo alle nuove norme USA sull’inquinamento da autoveicoli, emesse nel 1966 a firma del Presidente R.Nixon, mi reco nei laboratori EPA (Environmental Pollution Agency) all’epoca situati ad Ypsilanti, Michigan, per effettuare le prove di certificazione ufficiali. Nulla di speciale; molto spazio, ampi e anonimi fabbricati industriali ed altrettante spoglie aree che li circondano, apparentemente abbandonate. In perfetto ordine gli uffici ed i laboratori EPA (in seguito il tutto venne trasferito nella nuova sede di Ann Arbor poco distante). Nel corso di queste mie missioni, che si sono succedute regolarmente per soddisfare i limiti di emissione inserirti anno dopo anno, ho conosciuto molte persone. Tra queste il nostro efficientissimo collaboratore Don Black della allora consociata ARI di Englewood Cliff. Con lui intrattengo ancora rapporti d’amicizia con scambi di notizie, tutte interessanti. Tra queste (e-mail di agosto 2011), una che ha attirato a mia attenzione: i sopracitati laboratori EPA di Ypsilanti erano situati inizialmente in fabbricati del Willow Run Airport dove venivano assemblati i quadrimotori B24 Liberator (quelli del bombardamento, per intenderci). Quanti? 10.000 in totale, al ritmo di uno all’ora (più precisamente 55 minuti !!!!!). No comment
- Come detto sopra, io abito a Legnano. L’amico D.B. lo sa essendo stato mio ospite più volte. Però non si accorge di una lieve differenza e mi manda (e-mail di luglio 2009) le foto del bombardamento del ponte ferroviario di Legnago (che lui ha confuso con Legnano) sul fiume Adige, effettuato il 31 agosto 1944. Leggo attentamente i dati verbalizzati nelle relazioni sulla missione e mi accorgo che i successivi tre sganci di bombe sono sempre più precisi. Vuoi vedere che anche in quell’occasione (o forse sempre) c’era un signore in abiti da Prima alla Scala?
- Non posso trarre una conclusione certa, ma già allora circolavano voci di strani dispositivi, non meglio precisati, che consentivano altrettanto non precisate operazioni. Però anche aggeggi, oggi considerabili rozzi, ma adatti per trasmettere segnali semplici come: X= tot metri più avanti, Y= tot metri più indietro, Z= tot metri più a Sx, W= tot metri più a Dx, e così via, avrebbero potuto facilitare l’operazione normalmente affidata, all’epoca, ai dispositivi di puntamento Sperry, o similari, allora in uso. La mia è solo un’ipotesi, ma troppi fattori concomitanti, p.e. gli sganci successivi, opportunamente distanziati nel tempo e sempre più precisi, me la fanno ritenere abbastanza valida.
Dario Radaelli
Legnano, Luglio 2013